VIOLENZA OSTETRICA

Testimonianza n°4

Con mio marito ci siamo recati in PS nel primo pomeriggio, dopo che avevo trascorso circa 14 ore a casa nell’attesa che le contrazioni diventassero regolari ed intense. Fatto il triage, vengo condotta al blocco parto per essere visitata: essendo iniziato il travaglio ed essendo ancora poco dilatata, mi ricoverano in reparto, dove mi raggiunge mio marito.

La sera vengo trasferita, accompagnata da mio marito, al blocco parto in quanto il collo dell’utero è più dilatato; mi viene assegnata una stanza molto accogliente, con luce soffusa, e qui conosco l’ostetrica che mi seguirà per la maggior parte del tempo. Mi viene applicato il tracciato, vengo visitata e vengo informata sul fatto che potrò scegliere liberamente le posizioni in cui mi sentirò più a mio agio e potrò richiedere, qualora necessario, il gas (protossido di azoto da inalare tramite mascherina) oppure l’analgesia peridurale, per aiutarmi a gestire il dolore delle contrazioni.

Dopo poco, non riuscendo a sopportare il dolore, chiedo di provare con il gas. Fin qui l’ostetrica è molto gentile, accoglie ogni mio bisogno, mi sostiene psicologicamente. Le contrazioni sono ormai intense e regolari da ore, ma la dilatazione del collo dell’utero non si completa: decidono così di somministrarmi ossitocina endovena, la quale rende le contrazioni tremendamente più dolorose e meno naturali, per cui chiedo di procedere con l’anestesia. Qui l’ostetrica inizia a cambiare atteggiamento, è molto più fredda, meno accogliente.

Per fortuna con l’analgesia peridurale, con grande sollievo il dolore si attenua e il collo dell’utero arriva a 10 cm di dilatazione. Dopo non molto tempo però l’ostetrica mi informa che dovremo interrompere l’anestesia poiché ha reso le contrazioni troppo deboli e quindi inefficaci.

Dopo molte ore, quindi già fisicamente provata dal dolore, entro nel travaglio attivo: a questo punto mi viene detto che appena sentirò una contrazione dovrò iniziare a spingere e che avvertirò il bisogno di assecondare la contrazione spingendo. Questo bisogno non lo percepisco, per cui inizio a spingere fortissimo all’inizio di ogni contrazione e per tutta la durata di ognuna di esse. Proseguo così per ore, cambiando mille posizioni, con dolore atroce. Faccio presente che non ce la faccio più, che il dolore è insopportabile, che continuo a non avvertire nessun bisogno di spingere e che la situazione mi pare statica da ore. Mi viene freddamente ribadito che devo continuare così, che devo spingere forte perché la testa si sente all’ispezione vaginale.

Sempre più provata, continuo a spingere in tutte le posizioni che mi vengono proposte, inizio a grondare sangue lungo le gambe, non ne posso più. Sono sfinita e inizio a dire che c’è qualcosa che non va perché sono ore che mi viene detto che sta per nascere, ma mia figlia ancora è ferma nella stessa posizione. Qui interviene anche mio marito dicendo che devono fare qualcosa perché è troppo tempo che siamo in quella situazione. Imploro più volte che mi venga fatto il cesareo. Ma anche il ginecologo dice che ormai il cesareo non è più praticabile a causa della posizione della testa di mia figlia. Cambia il turno e mi ritrovo con un’altra ostetrica, senza che quella che mi aveva fino a quel momento seguita mi salutasse.

Proseguo, ancora spingendo e grondando sangue, finché ad un certo punto, in modo piuttosto rapido, mi portano in sala parto. Qui il ginecologo mi dice che mi applicherà la ventosa per aiutarmi a far nascere mia figlia: in pochissimo tempo mi ritrovo un’ostetrica sul mio addome che mi comprime brutalmente per eseguire la manovra di Kristeller senza il mio consenso, mentre il ginecologo alla mia spinta traziona fuori mia figlia in un attimo, letteralmente sventrandomi. Era ormai mattina.

Dopo avermi appoggiato mia figlia sul petto per pochi secondi, la pediatra la porta via per visitarla. Nel frattempo inizia l’opera di riparazione del danno fatto al mio perineo e ai muscoli del mio pavimento pelvico. Una ginecologa, dopo avermi fatto un’anestesia locale, inizia a mettere i punti. Mentre io piango di dolore fisico e per lo shock di quella violenza appena subita, un medico fa battute inappropriate, dicendo che il giorno seguente avrei già dimenticato tutto. Un altro, invece, appena vede i punti che mi erano stati messi, urlando e sbattendo il carrello si rivolge alla ginecologa che stava cucendo e le dice che non sta lavorando bene. Quindi mi toglie i punti appena dati ed inizia a cucire in modo brusco. Gli dico che sento tanto dolore, che non riesco a sopportarlo e lui brutalmente mi dice «falla poco lunga!».

Continuo a piangere in silenzio. Sia io che mio marito siamo sfiniti, attoniti, sconsolati. Continuo a dire che sento un dolore tremendo, che non resisto, ma niente. Poi lo stesso medico controlla nel carrello e urla che mi era stata fatta poca anestesia e procede somministrandomene un’altra dose. Continua a cucire, chiedo che cosa è successo, che danno è stato fatto, quanti punti mi sta dando, ma mi dice che è impossibile contarli e che ho lacerazioni di secondo grado al pavimento pelvico.

Finito il lavoro, vengo trasferita con mia figlia e mio marito in una stanza a fare il pelle a pelle. Per due ore mia figlia piange ininterrottamente, senza sosta: dopo abbiamo scoperto che aveva un torcicollo miogeno causato probabilmente dalla trazione brusca con la ventosa.

Sono stati tre giorni tremendi perché ero fisicamente priva di forze, non riuscivo nemmeno a stare seduta per il dolore, riuscivo a stento ad alzarmi dal letto con l’aiuto di mio marito.

Queste violenze, oltre a provocare un danno fisico, hanno creato una ferita molto più profonda nella mia psiche e nella mia anima e mi hanno privata della possibilità di vivere con serenità e ricordare con gioia quello che sarebbe dovuto essere uno dei momenti più belli della mia vita.