Per questo incontro ci addentriamo nel mondo della scrittrice insignita del premio Nobel per la Letteratura 2024, motivato dalla sua «intensa prosa poetica che affronta i traumi storici ed espone la fragilità della vita umana».
Siamo a Gwangju, in Corea del Sud, nel maggio 1980: dopo il colpo di Stato di Chun Doo-hwan, in tutto il Paese vige la legge marziale. Quando i militari hanno aperto il fuoco su un corteo di protesta è iniziata l’insurrezione, seguita da brutali rappresaglie; Atti umani è il coro polifonico dei vivi e dei morti di una terribile pagina di storia mai veramente narrata in Occidente.
Conosciamo il quindicenne Dong-ho, alla ricerca di un amico scomparso; Eun-sook, la redattrice che ha assaggiato il «rullo inchiostratore» della censura e i «sette schiaffi» di un interrogatorio; l’anonimo prigioniero che ha avuto la sfortuna di sopravvivere; la giovane operaia calpestata a sangue da un poliziotto in borghese. E queste storie, in fondo, possono rispecchiarsi nelle storie universali delle brutali repressioni dei regimi di ogni parte del mondo.
Han Kang, con il terso, spietato lirismo della sua scrittura, scruta tante vite dilaniate, racconta oggi l’indicibile, le laceranti dissonanze di un passato che si voleva cancellato.
«Si può sostenere che la vittoria di una donna sia una conquista per tutte, qualunque sia la sua storia, la sua visione politica, il suo rapporto con il femminismo, il suo modello di gestione del potere?».
In tutta Europa e in diverse parti del mondo, leader donne stanno assumendo ruoli apicali e di responsabilità. Eppure, la popolazione femminile nel suo complesso subisce ancora le più gravi forme di sfruttamento, violenza, povertà, marginalizzazione culturale. L’inizio del nuovo millennio ha conosciuto un inasprimento degli attacchi a diritti e libertà ottenuti dal movimento femminista nel secolo scorso, con quella che è stata definita la più grande rivoluzione pacifica del Novecento; basti pensare all’offensiva sferrata da più fronti contro l’aborto, una conquista che, insieme al diritto di voto, aveva rappresentato un passaggio chiave di quelle lotte. Come si spiega una tale contraddizione? Attraverso un’analisi degli sviluppi più recenti della politica italiana e internazionale, Giorgia Serughetti, docente di filosofia politica all’Università di Milano-Bicocca, riannoda i fili di questo paradosso.
La battaglia delle donne può diventare strumento di liberazione per tutti coloro che si trovano ai gradini più bassi della scala sociale: per questo sono centrali le questioni del reddito, della divisione sessuale del lavoro, del razzismo, della violenza istituzionale sulle persone migranti, della cancellazione culturale e giuridica delle sessualità non conformi. Il femminismo è una forza trasformativa radicale, la ricerca di una buona vita per tutte, non per poche, che può avvenire solo attraverso la costruzione e l’attivazione di una nuova dimensione del potere, di un altro genere di potere, un potere di altro genere.
Viola Ardone ci conduce in un mondo sospeso tra il reale e il surreale, dove Elba, una ragazza cresciuta in un manicomio, costruisce un suo universo fatto di figure bizzarre e familiari. Dopo l’approvazione della Legge Basaglia, il giovane psichiatra Fausto Meraviglia decide di liberarla e portarla a vivere con sé, trasformando il loro legame in un viaggio profondo e commovente verso la paternità e la scoperta della libertà.
Con uno stile intenso e vibrante, Grande meraviglia esplora il potere trasformativo delle relazioni, il bisogno umano di essere riconosciuti e il mistero dell’amore che non si può mai pienamente comprendere. Questo romanzo conclude l’ideale trilogia del Novecento di Ardone, iniziata con Il treno dei bambini e Oliva Denaro, e invita il lettore a riflettere sul confine sottile tra la normalità e la follia, la solitudine e la compagnia, il possesso e la libertà.
Unisciti a noi per scoprire insieme il mondo di Elba e discutere di un romanzo che ci parla di fragilità, speranza e resilienza.
“Calibano e la strega” è uno dei lavori più influenti di Silvia Federici, in cui analizza la caccia alle streghe come un meccanismo fondamentale del capitalismo nascente. Federici sostiene che la repressione delle donne e il controllo sui loro corpi siano stati centrali nella transizione dal feudalesimo al capitalismo, contribuendo a consolidare il sistema capitalista moderno. La caccia alle streghe, secondo Federici, non era solo un attacco alla spiritualità femminile, ma una strategia politica per sottomettere le donne e sfruttare il loro lavoro riproduttivo, cruciale per la riproduzione del capitale. Questo studio fa parte di un progetto di ricerca avviato negli anni ’70 in collaborazione con la femminista italiana Leopoldina Fortunati, volto a comprendere il ruolo delle donne nella trasformazione economica e sociale di quell’epoca.
Silvia Federici è una femminista, scrittrice e docente universitaria, protagonista negli anni Settanta del movimento per il Salario al Lavoro Domestico. Negli anni Novanta, dopo aver insegnato e condotto ricerche in Nigeria, ha partecipato ai movimenti no global e contro la pena di morte negli Stati Uniti. Dal 1987 al 2005 ha insegnato politica internazionale, studi di genere e filosofia politica alla Hofstra University di New York. Autrice di molti saggi femministi, oggi Federici si impegna attivamente contro la globalizzazione capitalista, tenendo conferenze in tutto il mondo.
È una grande serata per Amma: un suo spettacolo va in scena per la prima volta al National Theatre di Londra, luogo prestigioso da cui una regista nera e militante come lei è sempre stata esclusa. Nel pubblico ci sono la figlia Yazz, studentessa universitaria armata di un’orgogliosa chioma afro e di una potente ambizione, e la vecchia amica Shirley, il cui noioso bon ton non basta a scalfire l’affetto che le lega da decenni; manca Dominique, con cui Amma ha condiviso l’epoca della gavetta nei circuiti alternativi e che un amore cieco ha trascinato oltreoceano…
Dalle storie (sentimentali, sessuali, familiari, professionali) di queste donne nasce un romanzo corale con dodici protagoniste: etero e gay, nere e di sangue misto, giovani e anziane; impiegate nella finanza o in un’impresa di pulizie, artiste o insegnanti, matriarche di campagna o attiviste transgender. Cucite insieme come in un arazzo, le loro vite (e quelle degli uomini che le attraversano) formano un romanzo anticonvenzionale e appassionante che rilegge un secolo di storia inglese da una prospettiva inedita e necessaria.
Modesta nasce il primo gennaio del 1900 in una casa povera, in una terra ancora più povera. Ma fin dall’inizio è consapevole, con il corpo e con la mente, di essere destinata a una vita che va ben oltre i confini del suo villaggio e della sua condizione. Ancora ragazzina è mandata in un convento e da lì, alla morte della madre superiora che la proteggeva, in un palazzo di nobili. Qui il suo enorme talento e la sua intelligenza machiavellica, le permettono di controllare i cordoni della borsa di casa, e di convertirsi in aristocratica attraverso un matrimonio di convenienza. Tutto ciò senza mai smettere di sedurre uomini e donne di ogni tipo. Amica generosa, madre affettuosa, amante sensuale, Modesta attraversa la storia del Novecento con quella forza che distingue ogni grande personaggio della letteratura universale.
In “Le tre ghinee”, scritto nell’inverno 1937-1938 mentre la guerra stava per diventare una dolorosa realtà, Virginia Woolf immagina di ricevere tre lettere che contengono una richiesta in denaro per tre cause: la prevenzione della guerra, una università femminile e un’assistenza alle donne che vogliono esercitare una professione. Nelle immaginarie risposte l’autrice dimostra come le tre cause siano identiche e inseparabili; come alla radice di tutto ci sia il potere garantito dalla violenza, uno stesso meccanismo che produce il patriarcato e il fascismo, che fa l’uomo protagonista di un contesto sociale e isola la donna nella sfera privata, alienando entrambi.
Nell’aprile del 1938, alla fine di questo lavoro, Virginia Woolf scrisse nel suo diario: “Hitler dunque sta accarezzando i suoi spinosi baffetti. L’intero mondo trema: e il mio libro sarà forse come una farfalla sopra un falò consumato in meno di un secondo”. Introduzione di Luisa Muraro.
Benvenuti nella «società della menzogna». Una società che santifica la verginità pur essendo la quinta al mondo per consumo di pornografia online.
Tredici racconti sulla sessualità in Marocco: tredici testimonianze spontanee raccolte dalla scrittrice Leïla Slimani. Sono voci di donne di estrazione sociale differente, con un livello di istruzione e un sentimento religioso profondamente diversi, eppure parlano tutte la stessa lingua e muovono un atto di accusa senza riserve verso una società in netta contraddizione tra quanto predica e quanto vive. La studentessa, la prostituta, il medico, l’attivista, il poliziotto ci offrono uno spaccato spietato della vita sessuale in Marocco, fatta di incontri rubati, consumati nei cantieri abbandonati, con la paura di essere scoperti dalla polizia o aggrediti da qualcuno. Il sesso fuori dal matrimonio è proibito per legge, il codice penale sanziona il crimine con due anni di carcere. Non si può abortire, a meno di non essere state violentate. Succede anche che le donne vittime di stupro possano essere sposate dai loro stessi violentatori. Questo è quello che prescrive la legge marocchina oggi, una giurisprudenza scollata dalle esigenze di una comunità per molti versi modernizzata, in cui le donne reclamano il tempo di conoscere e desiderare gli uomini con cui escono e rivendicano la libertà di rifiutarli. Se le ragazze non parlano di sesso in famiglia, né confidano alle amiche le loro relazioni non ufficiali, dall’altra i giovani uomini non sposano donne che abbiano perso la verginità.
Che tipo di società è questa? Leïla Slimani, scrittrice Premio Goncourt all’apice del successo e acuta osservatrice dell’identità femminile nelle sue infinite declinazioni, lascia alle parole di queste donne la risposta.
Rachel ha venticinque anni, vive a Los Angeles e soffre di un disturbo alimentare: calcola ossessivamente le calorie, cerca di ignorare la fame e trae un piacere quasi erotico dai pochi cibi che si concede. Lavora per un noto agente dello spettacolo, ogni giovedì sera si esibisce come stand-up comedian e si nasconde dalla madre, anaffettiva e dominante. Rachel usa la solitudine come scudo contro le relazioni e le tentazioni, finché un giorno, nella gelateria dove consuma di nascosto uno yogurt ipocalorico, incontra Miriam, la nuova commessa. Miriam è l’opposto di Rachel: un tripudio di curve e morbidezze, il trionfo dell’abbondanza sulla privazione. Le due ragazze si innamorano, si esplorano attraverso il cibo che consumano insieme, si riconoscono nei corpi che traboccano di piacere. L’amore innesca una rivoluzione nella vita di Rachel, che però dovrà fare i conti con la famiglia ebrea ortodossa di Miriam e con le ipocrisie del suo ambiente di lavoro. Serrato, impetuoso e provocatorio, Affamata parla di sensi e appetiti: di sesso, di cibo e di ossessioni. Con una lingua ironica e sensuale, Melissa Broder rivela che per sfuggire all’infelicità l’unica strada è tornare a se stesse, affrontando il rischio di non essere conformi e la vertigine del desiderio. Questo libro è per chi sa che i biscotti della fortuna non mentono mai, per chi sogna di chiedere a Midge Maisel la ricetta del suo brisket, per chi vorrebbe scoprire quali sono gli m&m’s preferiti da dio, e per chi ha capito che nella vita non bisogna per forza andare avanti, ma ci si può muovere liberamente, verso l’alto e poi giù in profondità, in una serie di infiniti crescendo.
Melissa Broder è un’autrice americana di romanzi, racconti, saggi e poesie, selezionate dal Center For Fiction First Novel Prize e dal Women’s Prize For Fiction. Collabora con The New York Times, Elle e The Cut. Vive a Los Angeles.
Laura e Alina si sono conosciute a Parigi quando avevano vent’anni. Ora sono tornate in Messico. Laura ha affittato un piccolo appartamento e sta finendo la tesi di dottorato mentre Alina ha incontrato Aurelio ed è rimasta incinta. Tutto sembra andare per il meglio fino a quando un’ecografia rivela che la bambina ha una malformazione e probabilmente non sopravvivrà al parto. Inizia così per Alina e Aurelio un doloroso e inatteso processo di accettazione. Non sanno ancora che quella bambina riserva loro delle sorprese. È Laura a narrarci i dilemmi della coppia, mentre anche lei riflette sulle incomprensibili logiche dell’amore e sulle strategie che inventiamo per superare le delusioni. E infine c’è Doris, vicina di casa di Laura, madre sola di un figlio adorabile ma impossibile da gestire.
Scritto con una semplicità solo apparente, La figlia unica è la storia di tre donne e dei legami d’amore e d’amicizia che intessono mentre si confrontano con le differenti forme che la famiglia può assumere al giorno d’oggi.
In prestito gratuito
Biblioteca Archivio Piero Calamandrei / Montepulciano
oppure in vendita
Libreria Centofiori / Montepulciano
La Terra di Mezzo / Sant’Albino
Vald’O / San Quirico d’Orcia
L’ingresso è libero e non è indispensabile aver letto il libro per partecipare 🙂