Ogni guerra, da sempre, calpesta i diritti umani dei civili. Le contingenze specifiche, i mezzi utilizzati, danno poi di volta in volta le dimensioni del disastro; ma la vita concreta delle persone, nella sua dimensione esistenziale e materiale, è sempre violata e stravolta. In pochi mesi i bombardamenti israeliani sulla Striscia di Gaza hanno ucciso decine di migliaia di esseri umani e, oltre all’impatto degli attacchi, anche l’impossibilità di ingresso degli aiuti umanitari ha avuto forti ripercussioni. A causa del bombardamento indiscriminato e dello sfollamento forzato, con la distruzione della maggior parte degli edifici civili, delle infrastrutture e degli ospedali, il numero di persone che si sono trovate in condizioni sanitarie disastrose, di vulnerabilità sociale, economica e psicofisica ha raggiunto numeri spaventosi.
In queste condizioni, avere le mestruazioni potrebbe sembrare un problema secondario, anzi, di solito non viene neanche considerato un problema. Ma questo significa, in condizioni ordinarie, perdere sangue dal canale vaginale per 4-5 giorni, nonché avere dolori più o meno intensi all’addome, alle gambe, alla testa; il che comporta precise necessità igieniche e sanitarie. Significa avere bisogno di strumenti per contenere il sanguinamento, assorbenti o prodotti lavabili; di acqua pulita per lavarsi e lavare i propri prodotti; di antidolorifici. E non dimentichiamo che la salute mestruale e la regolarità del ciclo vengono compromesse dalle condizioni psicofisiche precarie. Se pensiamo che nella Striscia di Gaza erano residenti approssimativamente 2,3 milioni di persone prima dell’inizio dell’ultima crisi e considerando che l’età media era piuttosto bassa, possiamo stimare che circa un milione di donne e ragazze abbia avuto il ciclo mestruale sotto le bombe.
Durante l’offensiva israeliana a Gaza – arrivata nell’ambito di un’occupazione militare che chiude qualsiasi via d’uscita da una delle zone più densamente popolate del mondo – molte di loro hanno fatto ricorso all’assunzione di pillole per ritardare le mestruazioni, a causa delle condizioni antigieniche e precarie che impedivano loro di affrontarle con dignità. Si tratta di pillole che possono avere effetti collaterali importanti (sanguinamento vaginale irregolare, nausea, cambiamenti nel ciclo mestruale, vertigini), ma alcune donne affermavano di non avere altra scelta se non quella di correre il rischio, che non sarebbe mai stato più grande di quello che vivevano già ogni giorno sotto i bombardamenti (fonte: Al Jazeera). La mancanza di prodotti sanitari e di pulizia, di assorbenti, di acqua pulita e quindi l’impossibilità di prendersi cura del proprio corpo, della propria salute, crea effetti negativi sul benessere psicofisico: espone al rischio di sviluppare sindrome da shock tossico e infezioni e alimenta sentimenti di frustrazione. Anche lo sfollamento e la conseguente mancanza di privacy, le strutture sanitarie al collasso, hanno effetti deleteri e discriminatori sulle persone che mestruano. La giovane giornalista ghazawi Bisan ha mostrato sui suoi canali social come si è ingegnata per costruirsi un “bagno” di fortuna all’interno di una tenda di uno dei tanti campi in cui si sono trovati a vivere gli sfollati.
Il focus sulla condizione umanitaria, sanitaria e femminile palestinese fa emergere una questione generalmente poco considerata, che viaggia su un piano culturale e sociale molto ampio. La mancanza di consapevolezza sulla salute mestruale, che nel caso del bombardamento su Gaza aggrava ulteriormente le già pesanti difficoltà che le donne affrontano quotidianamente, porta, nella narrazione comune, a non considerare il ciclo mestruale una caratteristica propria della specie umana. Eppure, almeno la metà della popolazione globale, in media per circa 40 anni della propria esistenza, ogni mese ha le mestruazioni.
La salute mestruale è intrinsecamente connessa alla dignità umana. Ciò nonostante, non è percepita come un’esigenza sanitaria di base neanche nei Paesi considerati sviluppati, dove infatti, nelle fasce di reddito più basse, la povertà mestruale è una realtà. Per povertà mestruale s’intende la difficoltà economica a procurarsi il necessario per gestire il proprio ciclo mestruale, in termini di prodotti per il sanguinamento (assorbenti, coppette, mutande mestruali), farmaci analgesici e antidolorifici, prodotti per l’igiene personale. Pensiamo alla situazione dell’Italia, dove, dagli ultimi decenni del ‘900, l’IVA sui prodotti mestruali (cosiddetta tampon tax) era gradualmente aumentata fino ad essere parificata a quella dei “beni di lusso” e non certo idonea a beni di prima necessità, quali sono in realtà. Nel 2006 il Consiglio d’Europa ha autorizzato gli Stati membri ad abbassare l’imposta sui dispositivi igienici femminili fino al minimo, ma ben pochi Paesi si sono mossi di conseguenza; tanto che nel 2021 è stata emanata dal Parlamento europeo una risoluzione che ha affermato il diritto alla salute come pilastro fondamentale dei diritti delle donne e della parità di genere, sottolineando gli effetti negativi della tampon tax ed invitando ad attivarsi per risolvere la povertà mestruale (fonte: FiscoOggi).
Ma, nonostante lievi miglioramenti normativi in alcuni Paesi, poco ancora è cambiato al livello dei corpi reali delle persone. In Francia, l’associazione Coeur de Cagoles lotta contro la precarietà mestruale distribuendo kit per la fabbricazione domestica di assorbenti lavabili, per abbattere i costi (e con correlati benefici ambientali), e diffonde sui propri canali social tutorial per imparare a cucirsi da sole gli assorbenti, ad ogni latitudine.
Lungi dall’essere considerato una caratteristica umana, fonte di necessità e diritti, anche sul piano sociale il ciclo mestruale è ancora considerato un tabù, un argomento scabroso e privato che le donne devono gestirsi da sole e senza disturbare; è motivo di discriminazione o di scherno e, spesso, si tende a sottovalutarne il livello di dolore fisico e di disagio. Ma il malessere può essere inserito in una scala di gravità o di importanza? Esiste un modo per essere prese in considerazione senza cadere nel tranello della competizione? Perché quelli che dovrebbero essere dei diritti fondamentali riconosciuti – poter disporre di prodotti mestruali e farmaci a costi calmierati, ma anche il diritto a giorni di congedo mestruale per le fasi di dolore più intenso – sono ancora additati come richieste esagerate e trascurabili delle donne? Perché è ancora così difficile considerare il corpo femminile un corpo umano a pieno titolo?
Segnaliamo alcune associazioni che si occupano di assistenza alle donne nelle situazioni di conflitto e della raccolta di assorbenti da recapitare:
L’associazione femminista francese che abbiamo citato:
Fonti:
L. Alsaafin, R. Amer, No privacy, no water: Gaza women use period-delaying pills amid Israel war, in Al Jazeera news,
M. Verrengia, Il Fisco nella legge di bilancio, in FiscoOggi, rivista online dell’Agenzia delle Entrate, https://www.fiscooggi.it/rubrica/analisi-e-commenti/articolo/fisco-nella-legge-bilancio-10-prodotti-femminili-e-fuori-italia