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Il mio corpo il tuo giudizio

In questo articolo cercheremo di introdurre come il “corpo” sia diventato oggetto prima di essere soggetto, ovvero come le declinazioni date dall’ambiente che ci circonda abbiano condizionato per sempre la percezione soggettiva del corpo, definendone la binarietà e quello che è considerato “giusto” e “sbagliato”.

Secondo una ricerca dell’Università di Waikato, Hamilton, Nuova Zelanda, «il corpo è uno strumento di ricerca», attraverso esso esploriamo e comprendiamo il mondo. Il corpo è luogo del desiderio di rottura con le norme e le aspettative sociali dominanti e viene riconosciuto come luogo prioritario di esercizio della soggettività, come testimonia il diffondersi di pratiche collettive e di nuovi usi corporei.

Ma di chi sono i corpi di cui parliamo? Sono corpi di donne, di persone queer, giovani, di mezza età, anziani, corpi di studentesse universitarie, di casalinghe, di avvocate; insomma, sono corpi che raccontano storie diverse dalla loro costituzione di corpi femminili, quindi attraversati da indicatori sociali diversi, che li posizionano in modi diversi rispetto all’uomo cisgender.

 

Ecco i fenomeni figli della diet culture: immagina di tornare a casa per le feste (Pasqua o Shabbat che sia!), sei una persona in un corpo grasso, queer, disabile o non conforme… La reazione è sempre la stessa: un misto di stupore e senso del dovere che si trasforma in un bazooka di giudizi carico e pronto. Diventano tuttə medicə, infermierə, nutrizionistə, espertə di ogni sorta e dispenser di consigli usa e getta. Figli privilegiati del sistema all’interno del quale il mondo occidentale sguazza. «Ho esagerato. Ora, per una settimana, non tocco dolci», «Vorrei essere magrə come te!», «Ma quello non mangia mai, è troppo magro!», «Avrai freddo, copriti! Tutta quella carne all’aria ti farà ammalare!», «Non vedi quei capelli, la cellulite poi, no, no, nemmeno gli occhi si salvano», «Non esagerare con le lasagne che non fa bene. Hai bisogno di una settimana di palestra per bruciare una porzione».

 

Queste affermazioni sono violente.

È necessario mettere in luce una retorica che vede il grasso come malato e che utilizza questa visione per giustificare comportamenti come la grassofobia e il body shaming. La persona grassa, infatti, è una persona da sempre stigmatizzata. Anche i movimenti femministi stessi hanno escluso il corpo disabile, grasso e/o non conforme, dalla lotta. Un esempio furono le suffragette anglo-americane, che, nei primi anni del ‘900, si impegnarono in spettacoli e sfilate per sottolineare la loro bellezza e giovinezza. 

 

Grazie però alle compagne del movimento di fat acceptance, che cerca ancora di eliminare lo stigma sociale sull’obesità, sono stati messi in discussione l’onda della body positivity mainstream così come il body shaming e la grassofobia. Questo all’interno di un immaginario collettivo che vede la persona grassa, principalmente, come colei che ha bisogno di prendere coscienza del suo corpo, screditando la sua posizione mostrando preoccupazione in modo manipolativo (cosiddetto concern trolling). Un corpo grasso, in questa narrazione, diventa direttamente proporzionale alla sua infantilizzazione.

Molte donne ancora credono che controllando o contenendo il proprio corpo possano sfuggire al circolo vizioso che nasce dalla sensazione di non essere mai all’altezza delle situazioni o abbastanza belle. 

 

Quando eserciti body shaming, quello che pensi e dici è qualcosa da cui sei irrimediabilmente influenzato ma di cui ti sei trovato ad essere anche attore: le lenti che usi sono il «mangia meno» di tua madre quando avevi 7 anni, l’occhio languido del collega in ascensore al tuo primo stage, i corpi scolpiti di quei sex worker che hai visto online a 13 anni, la performer dai capelli fluenti e la pelle priva di imperfezioni, il compagno di palestra che alza 30 kg (la metà del tuo peso corporeo) e ti guarda presuntuosamente come se fossi un insetto. 

Questo spalanca le porte ai problemi di salute mentale associati al body shaming, che includono: ansia, disturbo da dismorfismo corporeo, depressione, incremento del rischio di autolesionismo o, nei casi più estremi, suicidio

 

La dimensione del controllo è dunque strettamente legata alle rappresentazioni e alle pratiche connesse al corpo e agisce su tutto il corpo, anche su quella mente che amiamo scindere da esso.

La body neutrality (approccio che dà priorità alla funzione del corpo piuttosto che al suo aspetto), la quale nasce dall’idea di accettare il corpo così com’è, è una pratica che presenta numerosi e comprovati benefici per la salute mentale e può incoraggiare a concentrarsi sulle funzioni positive che i corpi possono svolgere, indipendentemente dalla loro forma. 

Ritroviamo il piacere di scoprire il nostro corpo, di ritrovare nella forma non un confine, ma una possibilità.