Come quando guardiamo le nuvole o il profilo delle montagne tendiamo sempre a vedere nelle forme dei volti o delle caratteristiche antropomorfiche, così quando si parla delle api siamo inclini a voler umanizzare il loro comportamento dimenticando che l’ape rimane un animale selvatico a tutti gli effetti.
Per questo motivo vediamo il rapporto tra regina e fuchi come qualcosa che suscita sempre ilarità nelle persone che si approcciano a questo mondo: il fatto che i maschi non contribuiscano ai “lavori domestici” dell’alveare e che servano “solo” alla riproduzione fa sempre molto ridere. Per non parlare del fatto che sentano a chilometri di distanza i feromoni della regina che parte per il volo nuziale e corrano da lei o che muoiano dopo aver assolto alla loro funzione riproduttiva.
Sposando la visione femminista inclusiva che non si pone a teoria suprema come il maschilismo ma vuole essere intersezionale ed interessarsi non solo della discriminazione che subiscono le donne ma a tutte le discriminazioni ed ingiustizie sociali che fanno parte dello stessa sistema ideologico combattuto dall’ecofemminismo (la società patriarcale, sessista, razzista, coloniale) mi sono domandata come dovremmo agire in quanto animali sociali.
Ecco che la società delle api può servire da metafora: esse vivono come un superorganismo nel quale ogni individuo è paragonabile ad una cellula di un solo corpo e che quindi agisce per il bene comune, per la sopravvivenza della propria colonia e non in termini strettamente gerarchici o dettati dalla differenza di genere.
Per questo, come collettivo femminista ci siamo ritrovate per dare il nostro contributo in forma indipendente e plurale e vogliamo essere di supporto alla comunità locale per creare spazi, reali o virtuali, di confronto e scambi d’idee.