Rita è una giovane performer teatrale di origine italiana che oggi vive e lavora ad Amsterdam. Rita sta affrontando il suo percorso di transizione di genere.
Secondo il manuale femminista “Notre corps, nous-mêmes”, quando accade che i propri comportamenti, i propri gusti, i propri sentimenti o la propria mentalità non sono corrispondenti al genere assegnato alla nascita, si parla di non conformità di genere. Se ne può venire a conoscenza molto presto, nell’infanzia o in giovane età. Alcun* la descrivono come la certezza di essere nat* nel corpo sbagliato e ne possono soffrire, altr* no. La disforia di genere è il termine medico utilizzato per descrivere una sofferenza o un’angoscia di fronte alla non conformità di genere. Una persona transgender non necessariamente la prova, e si può anche percepire una disforia relativa a certe zone del proprio corpo senza essere trans.
Per riflettere meglio sulla propria identità, si possono scambiare informazioni sui forum online o in gruppi di dialogo, o rivolgersi ad associazioni LGBTQIA+. Rappresenta spesso un forte sollievo incontrare altre persone che vivono le stesse emozioni. In questo processo, si può arrivare a definire meglio la propria identità, e questo può eventualmente portare ad un percorso di transizione.
Essere trans non è una malattia: spesso, è l’ignoranza, come la violenza della società, che crea sofferenza. Contrariamente alle rappresentazioni che generalmente abbiamo, la transizione di genere non consiste solamente, o non sempre, in un percorso medico. Consiste anche in una riflessione globale sul proprio genere e la propria identità, un approccio personale e sociale, di cui la medicalizzazione può far parte, o no.
L’affermazione della propria identità di genere, qualunque essa sia, costituisce un sano processo di auto-determinazione.
Rita, vuoi presentarti e raccontarci la tua storia?
Mi chiamo Rita. Ho 31 anni e vivo ad Amsterdam da circa 9 anni e mezzo. Sono nata e cresciuta a Sesto San Giovanni, vicino Milano. Mi sono trasferita ad Amsterdam per studiare in una scuola di Mimo, che almeno qui in Olanda è un corso tra il teatro fisico e la perfomance. Da quando mi sono laureata lavoro come performer, ho fondato insieme ad altre due persone uno spazio che si chiama MIME FABRIEK in cui cerchiamo di provvedere per uno spazio che sia accessibile economicamente a persone che vogliono provare e fare presentazioni con un focus sul corpo e sul movimento. Da circa 3 anni ho finalmente accettato la necessità che sentivo da tempo di iniziare una transizione.
Ogni percorso è unico, allo stesso modo per cui essere una donna è un’esperienza unica per ognuna. Com’è stato per te il percorso con te stessa? È sempre stata chiara per te la tua identità di genere o hai attraversato un percorso di graduale consapevolezza?
Si sono daccordo con te che ogni percorso è unico. Unico, speciale, particolare. Il mio è stato a fasi alterne. Nella mia infanzia, insieme a mia madre, sua madre, e un po mia cugina, ho potuto giocare come meglio credessi, vestirmi un po’ come volevo, in casa. C’è stato poi, piano piano, un inizio di uno scontro con quello che era il mondo esteriore, a queste case sicure in cui potevo esprimermi abbastanza liberamente. Questo scontro nei miei ricordi è iniziato con un calcio nel sedere di questa suora, da cui andavo alla scuola materna, all’ennesima volta che io andavo in un bagno delle femmine. Lei quindi ha deciso di farmi sapere cosi cosa ne pensava. E da lì ho iniziato un po a cominciare a dividere un mondo interno, casalingo, in cui potevo fare un po come mi pareva, come mi sentivo fosse meglio, giocare con quello che preferivo io, ed un mondo invece esterno in cui dovevo comportarmi diversamente da quella che ero, a livello intimo. Poi questa cosa è andata sempre di più ingrandendosi, attraverso la scuola elementare, in cui comunque ci sono stati dei momenti di bullismo, per il modo in cui mi comportavo, culminando poi con la morte dei miei genitori quando avevo 13 e 14 anni. Dopo questo io ho completamente represso ogni parte “femminile”. In più ho iniziato ad essere adolescente, quindi la mia voce si è abbassata, ed ho preso comportamenti abbastanza maschili, proprio per evitare ogni “rottura” da questo mondo esterno che si lamentava di certi miei comportamenti. Per fortuna mia madre, prima di venire a mancare, mi aveva iscritta ad un corso di teatro fisico dove andavo due ore alla settimana a fare un corso di teatro per adolescenti. Queste due ore alla settimana erano un posto un po di sfogo, ma anche un posto dove potevo visitare certe qualità “altre” che mi appartenevano, che sentivo essere parte di chi sono, che adesso definirei “femminili” ma che sono anche molto più complesse di così, ovviamente. In quegli anni vivevo con mia zia ed i miei 2 cugini che mi hanno sempre lasciata abbastanza libera di fare le mie scelte, tanto da mandarmi anche in Argentina a 17 anni per un intercambio, in cui, tra le altre cose, ho anche avuto la mia prima relazione omosessuale. Dopo questo è iniziato un percorso di riapertura di certi cassetti che avevo lasciato chiusi, a volte più lentamente, a volte più velocemente, attraverso storie con ragazzi, e questo percorso di studio di performer. Qualche anno dopo, 3 anni fa, finalmente mi sono risentita al sicuro, con le persone intorno a me qui ad Amsterdam, con la mia famiglia, anche con il mio lavoro. Questa sicurezza ha fatto sì che io mi sentissi abbastanza a mio agio nel mondo, di nuovo, in un modo che non sentivo da quando erano mancati i miei genitori, tanto a mio agio da finalmente dire “ok c’è questa parte di me che ho trascurato, questo bisogno, questo desiderio di transizione.” Ed ho sentito chiaramente che fosse arrivata l’ora di iniziare questo percorso.
Ci hai detto che hai trascurato a lungo questo bisogno di transizione. Adesso che hai compiuto questo passo, pensi di aver pagato un prezzo alto per poter essere te stessa? Qual è stata la cosa più difficile del tuo coming out?
Devo dire che quello che sento adesso è che il prezzo più alto è stato quello di non essere me stessa prima. Con questo non voglio dire che non ci siano difficoltà nella transizione, ovviamente ce ne sono, non è un percorso semplice, il Mondo è ancora in un momento in cui ci sono persone che vorrebbero che le persone trans e non binarie non esistessero assolutamente, come ben sappiamo purtroppo. Ma in questo momento mi sento di dire questo, che gli anni prima della transizione, questo bisogno, questo desiderio lasciato da parte, penso sia stata quella la cosa più difficile. Non avere le giuste circostanze per averlo fatto prima.
Com’è stata accolta la transizione dalla tua famiglia, dai tuoi amici e colleghi ?
Ho iniziato a parlare della mia transizione qui ad Amsterdam, con le persone a me più vicine. Questa notizia è stata accolta in generale in maniera aperta, un po ‘curiosa, ovviamente ognuno in maniera un po diversa. Però, in generale, bene. Con la mia famiglia è stato ed è un discorso un po più lento, un po più lungo, dipende, per alcuni più lungo di altri, che però sento stia andando nella giusta direzione. Ci sono stati dei passi molto grandi che hanno fatto verso di me, e per questo gliene sono molto grata. E con le amicizie italiane, che ormai, dato che me ne sono andata da un po ‘, sono poche, ma molto buone, hanno accolto la notizia a braccia molto aperte.
E invece il tuo lavoro di performer teatrale, che immagino ti permetta un focus sul tuo corpo e sulla trasformazione ad ogni spettacolo, come influisce sul tuo processo di transizione?
Ha influito nel senso che mi ha dato spazio per sentire il mio corpo e quindi le mie emozioni, anche poter contemplare la mia immaginazione riguardo ad un processo di cui non sapevo molto, cioè che conoscevo intimamente per me stessa ovviamente, però non ero molto educata a riguardo e, avere uno spazio in cui ho potuto e posso lavorare col mio corpo, sul mio corpo, insieme ad altre persone, è stato uno spazio ed è uno spazio molto generoso. In questo senso, nei miei lavori cerco di sentire in che momento sono, anche nella mia vita, di sentire quello che è importante per me in questo e quel momento, e lavorarci. In questi anni il mio lavoro è andato a toccare anche certi temi, e quello che cerco di fare è di rispettare il più possibile come mi sento e condividere un’immagine di me, o un certo tipo di atmosfera, che possa essere il più possibile vicino ad un realtà che possa essere mia, un realtà che invece prima sentivo molto più lontana, più parte di un mondo veramente immaginario. Invece adesso con la transizione sento che questa realtà stia diventando un pochino più tangibile.
Ci sono fonti letterarie, musicali, o di altro tipo che ti hanno aiutata in questo processo?
Si, ce ne sono molto per fortuna, che mi hanno aiutato tante volte ad accettare sensazioni che già avevo. Spero di scoprirne ancora molte altre, e soprattutto quello che vorrei è un futuro in cui ce ne sono in abbondanza di fonti musicali, letterarie e film che mettano luce su questo tipo di processo di transizione. Mi piacciono molto i libri ed ho finito molto recentemente di leggere un libro di Porpora Marcasciano che si chiama “Tra le rose e le viole” che traccia una storia trans italiana attraverso diversi racconti tra gli anni 50 e la fine degli anni 90. Sempre con Porpora Marcasciano ed altre donne trans, nel 2022, è uscito il film documentario “Le Favolose” che ho visto qui ad Amsterdam che, a parte essere un film molto bello, mi ha fatto capire quanto il discorso sulla rappresentazione sia davvero molto importante. Per me poter avere accesso a storie di persone trans italiane è molto fondamentale per tentare di rimanere anche in connessione con un paese che è sempre in grado di nascondere certe storie. Poter avere accesso a questo è stato ed è molto forte. Altri testi che vorrei citare sono il libro di Leslie Feinberg “Trans Liberation”, e di Paul B. Preciado “Un appartamento su Urano” e “La mostruositrans” di Filomena Filo Sottile, che è un libricino molto piccolo ma veramente potente. E poi ancora, “Ho paura torero” di Pedro Lemebel, “Las malas” di Camila Sosa Villada, e “Detransition baby” di Torrey Peters. C’è un altro libro che è un po’ fuori tema perché non è scritto da una persona trans o non binaria, ma è un libro di Carlo Rovelli che è uno scienziato italiano che è un libricino piccolissimo che si chiama “Sette brevi lezioni di fisica”. In questo libro, ci sono lezioni di fisica che aggiornano persone come me, che non hanno idea della scienza, o molta poca, sulle ultime scoperte della fisica. Ovviamente non voglio dire che l’essere trans sia una scoperta della fisica del novecento, attenzione, le persone trans sono sempre esistite dall’alba dei tempi, però c’è qualcosa in questo libro che per me parla di una certa sensazione della realtà che sento e per questo lo consiglio. Poi, per quanto riguarda musiciste, come Arca, Anohni, e Wendy Carlos, hanno fatto sì che io potessi approcciare al suono anche da un punto di vista di esperienza personale. Per me queste musiciste uniscono la loro esperienza con il, passatemi il termine, “trasformare determinati suoni”, e questo è stata un’ispirazione molto grande per me e anche di conforto in qualche modo.
Grazie per questi suggerimenti!
Mentre, in termini legali ed amministrativi, sai qual è l’iter in Italia per cambiare il proprio nome e la propria identità di genere? Quanto è lungo e macchinoso? Sei dovuta andare all’estero per riuscire a finalizzare questo processo? È più facile in Olanda?
In Italia per cambiare il proprio nome e la propria identità di genere bisogna passare per un iter legale in tribunale, in Olanda questo non è necessario. Io sto controllando ancora se posso fare tutto qui in Olanda, dato che mi eviterei il passaggio in tribunale e spero che in Italia tutto questo percorso che è decisamente lungo e macchinoso possa cambiare presto anche se, con quello che si sente dal governo, non sembrerebbe proprio essere questa la direzione.
Ho letto che le persone trans a volte non si riconoscono solamente come donne/uomini o persone non binarie ma vogliono essere definite donne/uomini/persone non binarie trans, perché il termine trans rappresenta la loro lotta politica e personale. Sei d’accordo?
Principalmente penso che, quando si parla di riconoscersi o meno, in una determinata o non determinata identità di genere, bisogna favorire un dialogo in cui sia l’individuo stesso a potersi definire come meglio crede e sente. Io mi definisco come donna trans e sento che questo rispecchia il mio percorso, rispecchia chi sono. Di sicuro c’è il fatto di appropriarsi di un termine che è stato usato in maniere molto diverse. Se non sbaglio il termine trans viene prima di tutto da un termine medico ed il fatto che questo sia un processo di riappropriazione di un termine anche usato in modo molto dispregiativo, penso lo renda anche speciale per questo.
C’è stato un momento preciso in cui le persone hanno iniziato a rivolgersi a te al femminile? Come lo hai vissuto?
Si abbastanza subito in realtà. Quando ho iniziato a parlare della transizione ho anche chiesto di rivolgersi a me al femminile e l’ho vissuta molto bene, nel senso che sentivo fosse il modo giusto di indirizzarmi e sento sia così. All’inizio, ovviamente, ho dovuto un po’ abituarmi anche io, dopo che per 30 anni tutti si sono sempre rivolti a me al maschile. Invece adesso se succede che la gente si rivolge a me al maschile sento che stiano parlando non so con chi, e, devo dire, questa cosa a volte può anche dare dei fastidi, pero… succede sempre meno.
Hai dovuto intraprendere un percorso medico che ti consentisse di affrontare la tua transizione? Se sì, ha incluso delle componenti psicologiche o psichiatriche?
Si, inizia proprio con le componenti psicologiche/psichiatriche. Due anni e mezzo fa ho iniziato con un percorso psicologico, e l’anno scorso con quello medico-ormonale, per ora. Qui, come penso anche in Italia, c’è ancora bisogno di ricevere una diagnosi di disforia di genere, che rende il tutto un po’ patologico, ancora oggi. Volevo citare questo esempio. Qua in Olanda, l’unione degli psicoterapeuti e psicologi qualche anno fa si è scusata perché nella lista delle malattie mentali c’era l’omosessualità fino agli anni 90. L’essere trans è ancora nella lista dei disturbi mentali e viene trattato di conseguenza dalle varie istituzioni. Quindi questo rende il percorso psicologico lungo e decisamente macchinoso.
E in che modo le strutture pubbliche educative, sanitarie e sociali in Italia o nel Paese in cui vivi ti hanno accompagnata e ti accompagnano in questo percorso?
Sto facendo tutto qui in Olanda. E qua i costi sono coperti dall’assicurazione. Qua il sistema sanitario è per metà pubblico e per metà privato. L’assicurazione è privata, la pago ogni mese, ma lo stato se non guadagni abbastanza soldi ti ridà una parte di questi costi. Col mio lavoro non guadagno milioni, quindi principalmente il percorso è gratuito. Questo è uno dei punti che il governo attuale, di estrema destra anche qua in Olanda, vuole andare a cambiare, ovviamente. Qui in Olanda ci sono diverse strutture, quelle “ufficiali” e quelle “un po meno ufficiali”, ma comunque riconosciute, che assistono in questo percorso. Io ho deciso di andare in una struttura un po’ “meno ufficiale”, più che altro per ridurre i tempi di attesa, che possono essere di 2 – 3 anni, anche solo per il primo incontro psicologico. In questa struttura, attraverso incontri psicologici, mi hanno fatto una diagnosi. Ci hanno messo 6 mesi. Io per scherzare dico che hanno scritto la mia prima biografia non ufficiale, perché mi hanno fatto domande che non so davvero quanto siano pertinenti a dover scrivere una diagnosi di questo tipo. Dopo questo processo, è iniziato uno, un po’ meno lungo, di una lista di attesa per una clinica, che adesso mi assiste a livello medico. Quello che mi auguro per il futuro è che in questi posti ci possano essere più persone trans e non binarie che abbiano vissuto sulla propria pelle questo percorso per consigliare i vari psicologi e medici o che siano direttamente loro queste figure, dato che nella mia esperienza qui questo purtroppo non è quello che succede. E penso che questo potrebbe favorire un discorso molto più profondo ma anche più semplice per una persona che è in transizione.
Viviamo in una società standardizzata secondo delle norme binarie, che considerano il sesso biologico come determinante del genere delle persone. Nel tuo percorso, le persone con cui sei venuta a contatto, ti chiedono se ti sei operata o prendi in considerazione l’idea di farlo, come se solo l’operazione ti consentisse di essere donna? Questa domanda ti crea pressione? È per te possibile essere donna indipendentemente dai propri organi genitali?
Quando qualcuno mi fa queste domande, se non sono persone a me molto vicine, rispondo che sono fatti miei, con più o meno veemenza. Credo vivamente che sia possibile essere donna indipendentemente dai propri organi genitali e, devo dire, faccio anche un po’ fatica ad avere un dialogo con persone che la pensano altrimenti , almeno in questo momento. Quello che spero è che la mia convinzione in questo caso possa far tremare un pochino le loro strutture binarie e bigotte.
Sei riuscita ad ottenere un nuovo documento di identità con una foto attualizzata che rappresenti il tuo aspetto esteriore?
Si, ho rinnovato il passaporto l’anno scorso, con una foto che rappresenta il mio aspetto int….esteriore, e anche interiore, almeno un po di più. E questo, si.
Cosa pensi che dovremmo fare, come società essenzialmente binaria, per rendere meno difficili le condizioni di vita delle persone che affrontano una transizione? Sei ottimista relativamente a un possibile progresso sociale in questo senso?
Penso che ascoltare le persone che affrontano una transizione, che sono in transizione, quello di cui hanno bisogno, fornire di conseguenza un clima che sia sicuro, che possa accogliere tutte le differenze, sia un modo per rendere decisamente meno difficile questo percorso. Definirmi ottimista in questo momento, con la situazione politica in cui viviamo, devo dire, ci vuole coraggio, ma, sento che, dentro di me, e dentro alle persone a me vicine, ci sia anche una rabbia e una forza che almeno fa si che possiamo lottare. Una lotta che sento sia sempre più necessaria, insieme a molte altre lotte che hanno bisogno di essere prese in considerazione.
Grazie Rita! È stato un piacere conoscerti e ascoltare le tue parole. Speriamo che si possa andare verso una società più inclusiva e aperta alle differenze. E come ha detto lo scrittore, filosofo e regista Paul Preciado: “Liberiamo i nostri corpi intrappolati da regole oppressive!”
Musica Podcast: “One Day” di Luca Rossi
Foto: Paulina Prokop (Header articolo), Pedro Morato, Sven Bijma, Luqui Lagomarsino, Jill Bertels
LIBRI:
“Tra le rose e le viole” di Porpora Marcasciano
“Trans Liberation: Beyond Pink or Blue” di Leslie Feinberg
“Un appartamento su Urano” di Paul B. Preciado
“La mostruositrans” di Filomena Filo Sottile
“Ho paura torero” di Pedro Lemebel
“Las malas” di Camila Sosa Villada
“Detransition, baby” di Torrey Peters
“Sette brevi lezioni di fisica” di Carlo Rovelli
“Atlante del genere, Alla scoperta dell’euforia di genere” di Alessandra Fisher & Jiska Ristori
“Notre corps, nous-mêmes. Manuel féministe” di M. Blézat, N. Desquesnes, M. El Kotni, N. Faure, N. Fofana, H. de Gunzbourg, M. Hermann, N. Kinski, Y. Perret
“Stone Butch Blues” di Leslie Feinberg
“Testo junkie. Sexe, drogue et biopolitique” di Paul B. Preciado
“Manifeste contra-sexuel” di Paul B. Preciado
FILM:
“Le Favolose” di Roberta Torre
“Orlando” di Paul B. Preciado
“20.000 specie di api” di Estibaliz Urresola Solaguren
MUSICISTE
Arca
Anohni
Wendy Carlos
PODCAST:
“Amare parole – Quello che non sappiamo dei corpi transgender ” di Vera Gheno
“Corpi liberi” di Silvia Ranfagni
ARTICOLI:
https://www.internazionale.it/opinione/paul-preciado/2016/06/07/identita-transito
https://www.internazionale.it/opinione/paul-preciado/2018/03/08/nome-identita
INTERVISTA YOUTUBE A PAUL B. PRECIADO: