La “mia principessa”. Sembri una “principessa”. Quante volte nel voler fare un complimento a una bambina si usa questo termine con l’intenzione di sottolinearne la bellezza o la grazia. Ma per essere una “principessa” cosa serve? Un’idea possiamo farcela visitando un qualunque negozio in cui vengano venduti abiti o accessori a partire da zero anni fino ai dieci-tredici anni. Girando tra i colorati espositori dovremo necessariamente muoverci tra due settori nettamente separati: una separazione che diventa più evidente con l’aumentare dell’età. Eccoli lì i bodini rigorosamente rosa, o con elementi che ci riportano ad una natura fatta di grazia: fiori, animaletti stilizzati sempre in colori tenui (quasi mai l’azzurro). Tutine: se sono rosa vi compare scritto carina, testarda, dolce, graziosa, elegante, innamorata, bella. Se azzurre coraggioso, forte, robusto, vigoroso, furbo, birichino, determinato, cool, il tutto corredato da piccoli leoncini, dinosauri, macchinine.
Ma vediamole crescere queste piccole principesse a cui, fin da piccolissime, si apre un mondo fatto di lustrini, gioielli, abiti di leggero tulle con interi espositori in cui è possibile trovare un’infinità di piccoli accessori, in un tripudio di rosa. Dall’altra parte, per i piccoli maschietti, le indicazioni sono precise: praticità, tessuti che diano il senso della robustezza. Anche per loro qualche accenno di frivolezza, magari in un grazioso farfallino, ma nulla che possa mettere in discussione che il loro compito nella vita sarà quello di essere un uomo pronto ad intervenire per salvare la sua “bella principessa”.
Potremmo fare lo stesso discorso per i giocattoli, i luoghi frequentati, le attività che vengono proposte, le letture suggerite. Eccole lì tutte le innocue trappole in cui, piano piano, senza sensi di colpa – perché si tratta di scelte introiettate così prepotentemente dentro di noi che percepiamo un senso di frustrazione solo all’idea di togliere a quelle bambine così belle, così guardate, e, perché no, anche invidiate, tanto da gonfiare in maniera esponenziale l’orgoglio genitoriale, tutto ciò che le rende oggetto di ammirazione – cadiamo quotidianamente.
Sembra di sentirle quelle vocine: «ma che c’entra la parità di genere con tutto questo?», «che male c’è se a mia figlia piace vestirsi da principessa?», «è lei che sceglie di vestirsi così». Sceglie. Possiamo realmente parlare di scelta quando la società predispone, fin dalla nascita, modelli così rigidi, così funzionali alla costruzione di un’identità femminile all’apparenza molto più libera ma che dovrà sempre fare i conti, per conquistare una reale autonomia e indipendenza, con quell’immagine acquisita nell’infanzia?
«Ho ucciso l’angelo del focolare. È stata legittima difesa», scrive Virginia Woolf elencando le qualità di questo angelo: comprensiva, accattivante, altruista. Oggi potremmo aggiungere: corrispondente a canoni di bellezza sempre più invasivi.
Questo non significa, come molti temono, togliere alle bambine la possibilità di sognare, ma offrire loro degli strumenti proficui e adatti alla vita costituita da situazioni, contesti e circostanze per le quali non saranno delle principesse ma delle persone.
E ciò che vorranno essere dipende dal contesto che costruiamo intorno a loro. Il femminismo in questo svolge un ruolo fondamentale, quello di promuove nuove categorie interpretative, costruendo una consapevolezza differente e rivoluzionaria rispetto alle aspettative sociali di genere.