VaZine

Ti ho comprato anche le mutande !

Parlare di soldi, si sa, è tabù. Parlarne in coppia, ancora di più: si dice che uccida il romanticismo. 

In questo silenzio finisce che, tra un Lui e una Lei, chi ci rimette è quasi sempre la donna, che spesso pensa di non saper gestire il denaro perché così le viene raccontato dai secoli dei secoli, o perché, nella morale del sistema patriarcale, la donna è naturalmente portata a donare senza chiedere nulla in cambio. 

Succede che frequentemente è l’uomo a guadagnare di più, poiché la parità salariale è ancora lontana, perché dopo la maternità la donna ha difficoltà a reinserirsi, perché è a lei che viene affidata la cura della casa e dei figli, lavoro che non è quantificato in denaro. 

Succede che chi guadagna nella coppia ha il cosiddetto bargaining power, ossia il potere contrattuale, che si traduce in scelte diverse e magari non condivise sui figli, sulle scuole che frequentano, sulla gestione delle spese. 

Ebbene sì, i soldi danno potere. 

Quand’è che l’abuso di questo potere diventa violenza economica? 

Si tratta di una violenza subdola, difficile da decifrare, poiché chi la esercita mostra una paradossale benevolenza su chi ne è vittima con frasi del tipo: «ci sono io a pensare a te», «a che ti serve un lavoro quando hai me?» o ancora «vorrei tanto che tu fossi sempre lì ad aspettarmi quando torno a casa».

Se la violenza economica è permeante nella nostra società, come si può imparare a riconoscerla?

Il SEA-12 (Scale of Economic Abuse) è una scala in cui sono state codificate 12 affermazioni che descrivono comportamenti specifici relativi al controllo ed alla coercizione economica:

 

  • ti fa chiedere denaro ad altri
  • pretende di sapere come sono stati spesi i soldi
  • pretende di farsi dare le ricevute e/o il resto quando fai la spesa o altro
  • tiene nascoste le informazioni finanziarie
  • prende decisioni finanziarie importanti senza parlarne con te
  • ti minaccia di farti lasciare il lavoro
  • boicotta la tua carriera o la tua formazione
  • pretende che ti licenzi
  • diventa violento se vuoi andare a lavorare
  • spende i soldi di cui hai bisogno per i beni di prima necessità
  • paga in ritardo o non paga affatto le rate intestate a te o ad entrambi
  • accumula debiti a tuo nome

A livello internazionale la Convenzione di Istanbul, riconosce all’interno delle diverse forme di violenza anche quella economica, basandosi, come nel caso del SEA-12, sulla tripartizione del problema in: controllo economico, sfruttamento economico e sabotaggio dell’occupazione lavorativa.

In Italia, però, non esiste una normativa che faccia riferimento specifico alla violenza economica. Diversi articoli vi si possono correlare, come l’art. 570 del codice penale «Violazione degli obblighi di assistenza familiare, privazione parziale o totale delle risorse economiche necessarie per il sostentamento personale e dei figli»; o l’art. 572 «Maltrattamenti in famiglia: ogni volta che si realizzino condotte prepotenti e vessatorie abituali che possano cagionare uno stato di continua sofferenza, mortificazione o offesa alla dignità della vittima»; o addirittura bisogna riferirsi all’art. 600 «Controllo e limitazione assoluta della libertà personale, come riduzione e mantenimento in schiavitù»; tutti articoli che si possono applicare solo a una frazione del problema, senza illustrarlo nella sua totalità. Eppure, i numeri rispetto a quanto sia diffuso questo tipo di violenza sono sconcertanti. 

 

Secondo un’indagine Ipsos del 2023, il 49% delle donne intervistate dichiara di aver subito violenza economica nel corso della propria vita, percentuale che sale al 67% tra le separate/divorziate. Le conseguenze più frequenti sono molteplici, dall’atteggiamento vessatorio, alla difficoltà di accedere ai beni di prima necessità, fino all’aumento delle violenze, compreso il femminicidio.

Un problema importante si pone con l’avvento della maternità. L’insufficienza dei sistemi di sostegno e reintegrazione nel mondo del lavoro fa sì che un’enorme fetta di neo mamme rinunci o, nei migliori dei casi, rimandi (con effetto diretto sugli anni di contributi pensionistici versati) il rientro al lavoro. La maternità spesso è direttamente correlata alla dipendenza economica dal compagno con un significativo rischio di caduta nella violenza economica. Il divario salariale di genere inizia solitamente a manifestarsi proprio quando le donne raggiungono l’età in cui si è impegnati a costruire una famiglia.

Va quindi preso in forte considerazione il  lavoro di cura non retribuito che le donne si ritrovano ad adempiere, per tante molto più gravoso e stressante di un qualsiasi lavoro remunerato, tanto per la sua natura gratuita quanto per la pesantezza dei compiti ed il numero di ore impegnate. Ma se il lavoro di cura fosse quantificato e contabilizzato, ne si comprenderebbe il vero valore. Secondo il rapporto mondiale dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro, le donne svolgono il 75% del lavoro di cura non retribuito, pari a 5 ore e 5 minuti al giorno, a fronte di un’ora e 48 minuti per gli uomini. Ma quanto valgono queste quasi 3 ore in più? Moneyfarm, società di consulenza finanziaria con approccio digitale, ha ipotizzato che se alle donne venisse corrisposto un salario minimo di 9 euro all’ora (stima Inapp per l’introduzione di un salario minimo legale a 9 euro lordi all’ora) per 5 giorni a settimana, a fine anno potrebbero contare su circa 7.000 euro lordi in più.

Una cifra che certo non può sanare il divario retributivo di genere. Secondo l’Inps le donne ricevono infatti il 20% in meno in busta paga. Il gap economico di genere, risulta disarmante se consideriamo la situazione del nostro paese in confronto al resto d’Europa. Il Global Gender Gap Index 2024 posiziona l’Italia all’87° posto su 146 paesi analizzati (più progrediti di noi Repubblica Domenicana all’82° posto, Uganda 83°, Cipro 84°, Mongolia 85°, Timor Est 86°). In Europa invece, sfioriamo il podio dei peggiori col 37° posto su 40 Paesi analizzati. 

 

Se poi andiamo nel dettaglio a guardare l’autonomia economica delle donne all’interno della nostra democrazia, le cose non migliorano. Il tasso di occupazione femminile nella media europea è del 70,2%; in Italia del 56,5%. Siamo gli ultimi per tasso di occupazione femminile in Europa (report Eurostat del 2017). Per ogni figlio messo al mondo, il reddito della donna cala del 4% mentre quello dell’uomo sale del 6% (report Save the Children del 2024). Le donne che dipendono economicamente da un partner o da un altro familiare sono il 31% (indagine Global Thinking Foundation del 2023). Chi, fra lettrici e lettori, non ha un esempio in famiglia di mamma, nonna, zia costretta a chiedere al marito o al compagno i soldi per fare la spesa o per comprare le scarpe al bambino? 

La subalternità che si installa nella dipendenza economica può anche prolungarsi in forme di dominanza psicologica, fino a quella fisica. A questo punto, colei che non ha un’autonomia economica non può abbandonare il domicilio poiché non è in grado di sostentare sé stessa né, magari, i propri figli. 

In genere la violenza nell’intimità non si caratterizza da subito nelle forme più gravi e lesive per la donna, ma inizialmente vengono messe in atto violenze di tipo emotivo e psicologico. Tali violenze psicologiche iniziano sotto forma di intimidazioni che avvengono attraverso la coercizione, le minacce, il controllo e l’isolamento sociale che caratterizza spesso la condizione in cui la donna che subisce violenza è costretta a vivere. L’isolamento è determinato dal continuo tentativo da parte del partner di limitare o impedire alla donna i contatti con l’esterno (con la rete amicale o con i propri familiari) o la possibilità di coltivare hobby o interessi. L’isolamento avviene, spesso, anche attraverso l’impedimento alla donna, nonostante gli studi fatti, di lavorare ed esercitare la propria attività professionale, seguire i suoi sogni e magari realizzarsi nel mondo del lavoro, così da farle perdere punti di riferimento e di confronto sociale. L’obiettivo dell’uomo che mette in atto controllo e violenza economica è la conservazione del potere per relegare la donna ad uno stato di subalternità e di sudditanza, in modo da mantenere lo status quo.

Potremmo pensare che questo problema sia prerogativa di una determinata classe sociale, che non ci riguarda, ma non è così: succede a tutti i livelli

Avete mai pensato, per esempio, che in caso di separazione, le donne ne escono quasi sempre impoverite? Negli anni, magari, si sono occupate principalmente di spese di consumo come cibo ed abiti per i bambini, hanno investito nell’arredamento della casa, mentre chi guadagna di più ha costituito il cosiddetto patrimonio, acquistando la casa o comprando la macchina. 

Insegnare alle donne ad investire, ad amministrare liberamente e consapevolmente il proprio denaro, anche a coloro che guadagnano meno, è molto importante.

Ed è di primaria importanza stabilire dinamiche economiche sane all’interno della coppia. Aprire un conto comune, in cui il contributo di ogni partner può essere versato pro rata secondo il proprio guadagno, può essere un’idea. Rivedere questo apporto secondo i cambiamenti della vita come l’arrivo di figli, una temporanea disoccupazione o l’avvento di una malattia, permette di riequilibrare gli apporti di ogni partner costantemente. 

Ma ciò non esclude il mantenimento di un conto individuale, è importante ricordarlo: poiché in Italia tre donne su dieci non sono titolari di un conto corrente bancario. 

 

In un mondo in cui il valore di ciascuno di noi viene riconosciuto in modo importante nella capacità di produrre e gestire denaro, non può esserci empowerment senza indipendenza economica.

L’educazione finanziaria svolge un ruolo fondamentale nel percorso di emancipazione: guadagnare significa essere adulte e libere.

Per coloro che hanno difficoltà a sapere come gestire i propri risparmi e le proprie spese, ricordiamo che oggi esistono molte applicazioni che aiutano a farlo. Eccone alcune:  https://youngplatform.com/blog/news/migliori-app-gestire-budget-2024/

Inoltre desideriamo menzionare il progetto “Monetine”, promosso da Banca Etica e realizzato da Glocal Impact Network, pensato per coinvolgere le donne in situazioni di vulnerabilità economica, ma anche coloro che lavorano nei centri antiviolenza e nelle banche, che propone strumenti concreti di empowerment ed educazione finanziaria : https://monetine.eu/il-progetto/

Fonti:
Global Gender Gap Index 2024
Global Thinking Foundation 2023
Indagine Ipsos in collaborazione con Unicredit – 2023
Indagine WeWorl in collaborazione con Ipsos e fondazione Cariplo – 2023
Education at glance – 2024
Report Save the Children -Le equilibriste: la maternità in Italia nel 2024
Eurostat – statistiche dell’occupazione – 2017
D.i.Re (Donne in Rete contro la violenza) – report 2024
Seminario di Azzurra Rinaldi in collaborazione con BPER: oltre il rosa – 2024