«Vedi quante siamo in questa stanza? Lo abbiamo fatto tutte eh, non è niente di che»: la frase che non pensiamo di sentire in sala parto ma che ancora è una preoccupante costante, insieme a: «ah è il primo? Non siete capaci».
Un sabato sera sento che il mio bambino, solitamente un terremoto, sta fermo, muove solo una manina qua e là e scalcia un pochino. Penso che si sarà girato con il cordone o forse si sarà solo incanalato come ci avevano spiegato al corso, visto che manca una settimana alla dpp. Decido di andare comunque il giorno dopo per un controllo ma si rompono le acque. Accolta molto bene, aspetto le contrazioni; il travaglio procede tutta la notte e la mattina vado in sala parto. Faccio l’epidurale, che mi rallenta un pochino, ma va tutto bene. Inizia la fase attiva delle spinte: spingo correttamente, si vede un pezzo di testa ma il bimbo risale. Passano le ore, provo a chiedere se non può essersi girato con il cordone, perché è successo ad una mia amica poco tempo fa; risposta stizzita: «voi credete alle amiche e non a noi professionisti, tu questo bambino non lo vuoi fare».
Passano altre ore, arriva la sera, il bambino sta bene ma non esce. Verso le 22 arriva una ginecologa che ci spiega che devono intervenire con episiotomia, ventosa e manovra di kristeller; io felice, questo bambino, dopo nove mesi, lo volevo vedere in faccia. Esce il bimbo e la ginecologa urla allertando il personale: ci sono molti giri di cordone intorno al suo corpo.
Lo vedo tre secondi e lo portano via, il babbo va con lui, sento il pianto in corridoio, per fortuna. Il bimbo ha una lieve asfissia ma i parametri sono tutti buoni e lo trattengono per accertamenti (non lo vedrò fino alla mattina dopo, quando finalmente potrò andare da lui dopo aver fatto due trasfusioni di sangue). Se qualcuno avesse ascoltato le mie sensazioni forse sarebbe nato nel primo pomeriggio, forse tutti sarebbero stati preparati per l’emergenza, forse ci saremmo risparmiati lo shock di vedere il nostro bambino appena nato tutto grigio, che non si muove, che non piange. In ogni caso, sebbene ci siano circostanze imprevedibili, ci saremmo risparmiati i commenti acidi (ne ho riportati solo alcuni), le dieci ore di spinte, l’insinuare inadeguatezza nelle capacità della mamma, l’ansia del babbo di fronte alla freddezza delle ostetriche spazientite turno dopo turno. Conservo comunque un bel ricordo di quel giorno, perché sono una persona forte, ma dispiace trovare tale mancanza di empatia e sorellanza in un momento così fisicamente e psicologicamente sconvolgente. Rispettiamo le professionalità ma rispettiamo anche l’intuizione, il sentire, la natura della mamma che, a volte, sa quello che sta succedendo dentro al suo corpo, anche al primo parto.